Ciao Curiosi e ben ritrovati!
Dopo diverse letture e approfondimenti, anche io, sul mio blog, vorrei offrire un contributo alla discussione generale circa lo scontro tra Ucraina e Russia.
Quali sono i territori coinvolti? Perchè? Come sta reagendo il mondo? Quali conseguenze? Cosa apettarci?
Cercherò di rispondere a queste domande anche con l’aiuto di due esperti, Emanuel Pitrobon e Andrea Muratore che hanno già in altre occasioni offerto il loro prezioso e autorevole contributo a questo blog.
Russia: l’elefante del mondo
Volendo rappresentare metaforicamente i rapporti di gioco-forza che la Russia detiene col resto del mondo, possiamo immaginarla come un elefante all’interno della savana mondiale.
Grande fisicamente (la nazione con la maggiore estensione geografica del mondo) ed al tempo stesso dotata di una storia millenaria, una memoria di ferro e non poche ma plausibili paure.
La Russia è un elefante nella cristalliera Europa, soprattutto per le ex repubbliche sovietiche dell’est che si sentono minacciate non appena questi annuncia di muoversi; al tempo stesso è spaventato dai topi nel caso in cui questi decidano di aderire al patto atlantico della Nato facendo ombra sul gigante.
Ed è proprio su questo punto, l’appoggio Nato alle ex repubbliche sovietiche, che si gioca la partita tra Russia e Ucraina.
Da una parte vi sono gli interessi culturali e strategici nel proteggere la regione del Dombas, dall’altro quello difensivo di allontanare lo spettro Nato a 35 minuti da Mosca (il tempo impiegato da eventuali missili disposti in Ucraina puntati sull’elefante).
Le condizioni dettate da Putin, per mettere fine allo scontro che da tre giorni sta dilaniando l’Ucraina occidentale, sono quelle avanzate proprio all’esercito nazionale a cui viene chiesto di prendere il comando a danno del loro presidente Zelenskyy e attuare un percorso di elezioni in chiave anti atlantica al fine di garantire una maggiore sicurezza per Mosca e ripristinare gli equilibri.
Tutt’altro che semplice.
Facciamo il punto
Lo scontro tra Russia e Ucraina che sta tenendo il mondo col fiato sospeso nasce essenzialmente da divergenze culturali dei popoli che abitano la zona del Donbas (filo-russi e ucraini) ma soprattutto da quella minaccia, neanche troppo velata, per la Russia rappresentata da un eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato (che le permetterebbe di avere sostegno militare atlantico/americano).
Da questa prima nota semplificatrice è utile approfondire due punti:
- la regione del Donbas
- la richiesta Ucraina di entrare a far parte della NATO
La regione del Donbas

- Rappresenta la porzione orientale dell’Ucraina confinante appunto con la Russia;
- Comprende 3 “regioni” (Oblast): Donetsk, Luhansk e Dnipropetrovsk;
- Prende il suo nome dal fiume Donec (o Donbas), bacino d’acqua in comune tra Russia e Ucraina, importante fornitore di acqua dolce per la penisola e ricca di giacimenti di carbone;
- Conta 5 milioni di abitanti di cui 800 mila con passaporto russo;
- Interessata da scontri tra separatisti filorussi e forze governative ucraine (vedi Euromaidan e Odessa), almeno dal 2014, quando i filorussi (la maggior parte dei residenti in quella zona) chiesero in seguito alla secessione della Crimea, di essere anch’essi indipendenti e far parte della Federazione Russa. Durante tutti questi anni ci sono stati scontri armati e morti, referendum che hanno dato ragione ai separatisti ed infine l’accordo di Minsk del 2015, con cui l’Ucraina non concesse l’indipendenza dei territori del Donbas impegnandosi tuttavia ad essere indipendente dall’allenza atlantica.
La richiesta Ucraina di entrare a far parte della NATO
Le relazioni tra Ucraina e la Nato sono iniziate nel 1994 e rese effettive solo nel 2008 con la presentazione del piano di azione per l’adesione alla Nato (MAP). In seguito alla secessione/conquista della Crimea pro Federazione Russa, si sono intensificate le richieste per un ingresso dell’Ucraina nell’alleanza atlantica che rappresenterebbe un sostegno importante in campo di difesa militare.
Dalla Diplomazia allo scontro
Chiarito il contesto prima del vero scontro di questi giorni, è utile per dovere di cronaca ricordare che sì, ci sono stati tentativi di diplomazia per smorzare i toni ed evitare il conflitto, ma senza risultati.
Le richieste di garanzia della Russia di evitare che l’Ucraina entrasse nella Nato sono rimaste inascoltate da parte del principale interlocutore delle trattative, ossia l’America bideniana che ha di fatto rifiutato ogni dialogo e minacciato conseguenze gravissime sul piano economico qualora fossero avvenuti gli scontri.
Di seguito una breve linea temporale dagli incontri diplomatici principali fino all’annuncio dello scontro armato.
4 febbraio ’22, La telefonata Lavrov-Blinken rispettivamente Ministro degli Esteri della Russia e Segretario di Stato degli Stati Uniti.
7 febbraio ‘22, Macron da Putin e Sholz da Biden, tentativo da parte dei leader europei di trovare un punto di incontro.
Macron ha spinto per una de-escalation garantendo sostegno alla causa Russa, supportando l’idea di avere un’Ucraina a tutti gli effetti come stato cuscinetto;
Sholz, al fine di allontanare lo spettro di un’alleanza defacto definita GerRussia, ha garantito sostegno alla linea Atlantica pur di allontanare la messa in atto di quelle ripercussioni economiche paventate da Biden che costerebbero alla Germania in primis un canale privilegiato di approviggionamento energetico fornito dal gasdotto North Stream 2.
21 febbraio ’22, Putin riconosce l’indipendenza della regione del Dombas (Donetzk e Luhansk);
24 febbraio ’22, Putin ordina l’ingresso dell’esercito russo in Ucraina per difendere le nuove province del Dombas.
La risposta del mondo tra sanzioni, veti e astensioni

La risposta del Mondo è arrivata il 25 febbraio durante il consiglio delle Nazioni Unite in cui si è cercato di condannare l’azione di invasione del territorio indipendente ucraino da parte della Russia.
Diritto di veto a parte espresso dalla Russia, è mancata l’occasione per dare una risposta univoca globale di condanna alla condotta russa con l’astensione dei giganti asiatici di Cina e India.
E subito si fanno più marcate le sanzioni da infliggere a Mosca al fine di isolarla economicamente. Tra le più importanti:
- chiusura del circuito Swift, che isola Mosca dalle transazioni economiche internazionali;
- spegnimento del North Stream 2: gasdotto russo-tedesco che fino ad oggi ha garantito forniture di gas all’Europa, tra cui l’Italia, a costi contenuti. Con la sanzione attuata, che non trova appoggio unanime tra gli europei, si impone de facto l’approviggionamento da altre fonti, in primis da quelle americane.
Una risposta che lascia perplessi un po’ tutti poiché:
- non risponde alla richiesta di Zelenskiy che chiede aiuti concreti militari;
- penalizza gli stati europei sul fronte dell’approviggionamento energetico e delle relazioni commerciali.
Ed è proprio sul lato sanzioni che nascono perplessità e domande sui possibili risvolti a breve medio termine. In questa direzione è utile la mia doppia intervista a Emanuel Pietrobon circa l’aspetto geopolitico della vicenda e ad Andrea Muratore per quello economico.
Domande agli esperti
Dottor Pietrobon,
perché l’Unione Europea non ha una visione unita?
L’Unione Europea non ha una politica estera comune e dunque non può avere una visione unanime su quanto sta accadendo in Ucraina.
Tale mancanza è sia a livello macro – manca un organismo deputato ad una politica estera comune, e ciò che abbiamo oggi sono delle figure tutt’al più simboliche e prive di poteri effettivi, come il Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri – sia a livello micro – i Paesi membri sono divisi, con alcuni propensi alla distensione e al dialogo per ragioni pragmatiche (in primis l’energia) e con altri che basano il loro intero impianto strategico sulla dottrina del contenimento.
Qual è la posizione dell’Italia?
Partiamo da questo punto, che è estremamente importante: l’Italia non ha una posizione autonoma in (quasi) nessun dossier che conta. La libertà di manovra nel mondo è diminuita progressivamente dopo Tangentopoli, capolinea della Prima repubblica, è tornata ai massimi storici durante l’era Berlusconi – pur se notevolmente ridimensionata rispetto all’epoca della guerra fredda – ed è scemata quasi totalmente con la fine della Seconda repubblica.
Oggi più che mai la nostra posizione è la posizione altrui, degli alleati maggiori – Stati Uniti, Francia, Germania – alla quale ci accodiamo il più delle volte senza apportare modifiche.
Dopo questa breve ma doverosa precisazione, torniamo all’Ucraina: la nostra posizione è stata quella del resto dell’Occidente sin dai primordi. Inizialmente, difesa dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina ma simultaneamente dialogo con la Russia. Oggi, causa il fallimento dei negoziati, la posizione è soltanto una: sanzionamento rigido della Russia. Confido, comunque, nella diplomazia segreta, in particolare quella tedesca e francese, che in futuro potrebbe permettere un nuovo tentativo di ravvicinamento tra le due Europe.
Crede che l’adesione alla linea Nato dell’Italia e dei principai Paesi europei, come Francia e Germania, sia scontata?
No, non lo è. Francia e Germania hanno tentato sino all’ultimo istante di evitare una guerra, la Francia in particolare – Olaf Scholz, rispetto ad Angela Merkel, ha meno margini di manovra (causa l’influenza dei Verdi) e pecca di qualità leaderistiche e carismatiche -, mentre i “falchi” dell’Alleanza Atlantica non erano intenzionati né a dialogare né a scendere a compromessi. Hanno prevalso i falchi: Macroon si è trovato solo, Scholz sotto ricatto, Biden irremovibile sulle proprie posizioni.
Perché sostiene che questa guerra sia stata una mossa sbagliata?
Perché Putin è rimasto vittima del suo stesso inganno: Biden ha voluto questa guerra sin dal principio così da giustificare l’applicazione di sanzioni tali da accelerare l’amalgamazione del sistema economico-finanziario europeo a quello americano, in concomitanza con il disaccoppiamento degli ecosistemi delle due Europe.
Biden, del resto, era il vice di Obama ed è suggerito da personaggi come Victoria Nuland e Antony Blinken – le menti di Euromaidan -; perciò non è sorprendente che insista con la linea del doppio contenimento e delle sanzioni, essendo queste ultime un modo per indebolire l’UE e allontanarla simultaneamente dalla Russia.
Lo spettro di Mackinder, la strategia di Brzezinski. Più nello specifico, Putin rischia di vincere una battaglia ma di perdere la guerra – cioè la guerra fredda 2.0 – creando una frattura sia in patria, visto che l’opinione pubblica era ed è largamente contraria a una guerra aperta e su larga scala gli ucraini, sia nel resto dello spazio postsovietico, dove questo intervento alimenterà sentimenti di animosità e diffidenza tanto tra le classi dirigenti quanto tra le popolazioni. Putin vince nel breve, insomma, ma nel medio-lungo è tutto da vedere.
Dottor Muratore,
quali sono le conseguenze economiche di questo scontro?
In generale, le principali conseguenze di questo scontro si traducono sul costo delle materie prime, in primis quello dell’energia. Gas e petrolio sono arrivati ai massimi storici, i loro futures in borsa registrano grande volatilità.
Chi guadagna da questa crisi?
È difficile dirlo. Nel breve-medio periodo si potranno avantaggiare quei paesi che hanno interessi rivali a quelli di Mosca, come Norvegia, Algeria, Qatar soprattutto sul fronte del gas naturale.
Per l’Italia invece quali saranno gli sviluppi economici?
Tutto dipende dalla linea che verrà adottata in relazione alla sanzione più importante che verrà messa in atto, ossia quella legata allo Swift, che de facto taglierebbe fuori ogni rapporto commerciale da e per Mosca col resto dei paesi aderenti.
Ad oggi il nostro rapporto commerciale con la Russia vale 20 miliardi (import-export)
Macroon si è mosso con anticipo per arginare eventuali problemi energetici col suo piano di investimenti verso il nucleare di concerto col New Green Deal. L’europa potrà contare sulla Francia per abbattere i costi dell’energia e trovare un’alternativa al blocco del North Stream 2?
È un grande dilemma capire se il progetto è ancora fattibile o obsoleto alla luce delle nuove tecnologie legate al nucleare. Tutt’altro che una partita definita.
Le borse negli ultimi giorni hanno registrato una vendita massiva da parte di Russia e Cina del debito USA. Cosa significa? Crolla il dollaro e quindi gli Stati Uniti hanno bisogno di una guerra per giustificare l’immisione di liquidità da zero?
Sul dollaro occorre pronunciarsi con cautela. Non sappiamo ancora come reagirà la Federal Reserve e gli altri grandi istituti bancari. In linea di massima la crisi scatenata va in direzione inflattiva piuttosto che deflattiva. Non azzarderei ad affermare se negli utlimi tempi si siano create condizioni tali da giustificare un intervento in quella direzione. Certo sarebbe davvero rischioso continuare ad alimentare l’inflazione in questa fase concitata.
Considerazioni personali

Dopo aver ricostruito in minima parte i contorni di questo scenario, è utile dire che mai riusciremo ad avere una visione chiara dei fatti e quindi a prendere una posizione precisa.
Certamente condanno i risvolti violenti di questo come di tutti i conflitti presenti nel mondo che in sostanza trovano motivazioni di natura economica dietro quelli di legittimazione di esistenza e riconoscimento di intere comunità di popoli.
Si auspica in una risoluzione che però non lascia presagire una riapacificazione nel breve periodo, anzi qualcuno vede lo spettro di un coinvolgimento mondiale, i cui territori di scontro possono essere ovunque in virtù delle sfere di influenza passate e future. Ne parlo nel mio articolo 11 Settembre: Il mondo vent’anni dopo a proposito della transizione dal sistema unipolare a quello multipolare verso ci stiamo muovendo.
Per concludere, vi lascio con una canzone di Lucio Dalla, che a modo suo risolverebbe così i problemi del nostro mondo.
Se io fossi
Un angelo
Chissà cosa farei
Alto biondo
Invisibile
Che bello che sarei
E che coraggio avrei
Sfruttandomi Al massimo
È chiaro
Che volerei
Zingaro, libero
Tutto il mondo
Girerei
Andrei in Afghanistan E più giù in
Sud Africa
A parlare con
L’america
E se non
Mi abbattono
Anche coi russi
ParlereiAngelo
Se io fossi un
Angelo
Con lo sguardo
Biblico
Li fisserei
Vi do’ due ore
Due ore al massimo
Poi sulla testa
Vi piscerei Sui vostri traffici
Sui vostri dollari
Sulle vostre belle
Fabbriche
Di missili
Se io fossi un Angelo
Non starei mai
Nelle processioni
Nelle scatole
Dei presepi
Starei seduto
Fumando una Marlboro
Al dolce fresco
Delle siepi
Sarei un buon angelo
Parlerei con Dio Gli ubbiderei
Amandolo a modo mio
A modo mio
Gli parlerei
A modo mio
E gli direi
I potenti
Che mascalzoni E tu cosa fai
Li perdoni
Ma allora
Sbagli anche tu
Ma poi non
Parlerei più
Un angelo
Non sarei più un Angelo
Se con un calcio
Ti buttano giù
Al massimo
Sarei un diavolo
E francamente
Questo non mi và
Ma poi l’inferno cos’è? A parte il
Caldo che fà
Non è poi
Diverso da qui
Perché io sento che
Son sicuro cheIo so che
Se io fossi un angelo, Lucio Dalla
Gli angeli
Sono milioni di
Milioni
E non li vedi
Nei cieli
Ma tra gli uomini Sono i più poveri
E i più soli
Quelli presi
Tra le reti
E se tra gli uomini
Nascesse ancora Dio
Gli ubbiderei
Amandolo a modo mio
A modo mio
A modo mio
A modo mio
Tu che ne pensi?
Conosci altri elementi che possono arricchire l’informazione e la conoscenza delle dinamiche di questo scontro?
Hai amici, parenti interessati da questa guerra in maniera diretta e vuoi offrire la loro o tua testimonianaza?