Ciao curiosi e ben ritrovati!
Oggi parliamo di giochi.
Quali sono i vostri giochi preferiti? Avete ancora tempo per giocare?
Certo, col passare degli anni, il tempo che dedichiamo al gioco, all’attività ludica, diminuisce e quasi sempre è il primo che mettiamo da parte per dedicarci a incombenze più urgenti come studiare, fare straordinari a lavoro o sbrigare le commissioni della vita quotidiana.
Ma se vi dicessi che le aziende utilizzano il gioco per trovare soluzioni ai problemi dei loro empasse, che direste?
Questa tecnica definibile come facilitazione game based rientra nelle macro-aree distinte del design thinking e della progettazione di sistemi di gamification.
Per design thinking si intende l’adozione di strumenti a basso costo in un processo ben definito per ricercare soluzioni; sono molto frequenti in contesti di imprese come startup o in alcuni processi legati al marketing. Mentre per gamification si intende l’utilizzo di meccaniche di gioco (con caretteristiche proprie dei giochi) al fine di ottenere risultati attraverso le dinamiche che si sviluppano proprio perché si sta giocando.
Quest’estate ho conosciuto, in circostanze del tutto casuali, Marco Saponaro.
Quando ci siamo presentati sono rimasto affascinato dalla sua attività di facilitatore e progettista di sistemi game based: “Uso e creo giochi per aiutare le aziende a risolvere problemi”.
Oggi ho deciso di rivolgergli poche domande per conoscere meglio la sua attività.
1. Qual è il tuo background di studi? E come ti sei avvicinato a questa professione?
Da appassionato di tecnologia ho frequentato prima un istituto tecnico industriale diplomandomi in elettronica e telecomunicazioni e poi ho frequentato il Politecnico di Torino laureandomi in Ingegneria delle Telecomunicazioni.
Dal 2013, per circa 9 anni ho svolto l’attività di ingegnere delle telecomunicazioni a Torino occupandomi dell’analisi di impatto elettromagnetico del campo elettrico generato dalle stazioni radio base di telefonia mobile, i ripetitori per intenderci, e poi gestendo veri e propri team di progetto dall’individuazione del sito fino all’installazione vera e propria.
Nel frattempo, nel 2018 sono inciampato nel coaching.
Dopo essermi informato, ho deciso di frequentare una scuola che mi ha permesso di acquisire così le competenze necessarie per migliorare il rapporto con le persone. Ho sviluppato maggiormente abilità come l’ascolto e la comunicazione utilizzandole sin da subito per migliorare le dinamiche all’interno dei team che seguivo.
Ho notato che effettivamente il mio approccio migliorava e anche i feedback provenienti da colleghi e collaboratori.

Successivamente ho incanalato il mio mix di competenze nella facilitazione che mi ha aperto un mondo, per cui mi ci sono letteralmente tuffato.
Ci sono stati due corsi che mi hanno dato tanto: un corso sulla Gamification e il corso per facilitatore LEGO(R) SERIOUS PLAY(R) erogato dall’ Association of Master Trainer.
Ho unito poi competenze di Coaching, Facilitazione, Gamification e Game Design (mia piccola passione) per strutturarmi come facilitatore aziendale, lasciare il mio vecchio lavoro e diventare libero professionista.
L’ingegneria e l’attività svolta in azienda sono stati due ingredienti fondamentali che oggi mi aiutano a progettare percorsi su misura per le aziende.
2. Raccontaci un’esperienza del tuo lavoro di facilitatore game based e quali risultati hai permesso di far raggiungere?
Presi in carico un team di nuova formazione per un importante progetto.
L’azienda mi contattò perché il team appena formato non performava come previsto pure essendo un team di “top player”.
Inizialmente si pensava che fosse un problema di organizzazione del lavoro per cui mi contattarono per chiedermi di strutturare un sistema ad hoc con tecniche di Project Management per cercare di recuperare il progetto prima di abbandonarlo.
Una parte molto importante del mio lavoro è l’ascolto e saper fare le giuste domande.
Così, dopo il colloquio con l’HR Manager mi accorsi che c’era qualcosa che non mi tornava: un team composto da persone di alto livello, un progetto che era sì nuovo ma che comunque era in linea con le loro risorse, sia umane che tecniche, e le competenze di Project Management erano super sviluppate in ognuno di loro. Insomma, tutti gli elementi erano in regola eppure la macchina non partiva …
Decisi allora di strutturare un momento col team e di far giocare le persone ad un gioco da tavolo: Scotland Yard.
Li ho lasciati giocare più volte, facendo seguire le regole del gioco senza modificare il gioco.
Cosa è emerso?
La persona che era stata designata come Team Leader, ruolo assegnatogli solo per un fattore di anzianità aziendale, non voleva fare il team leader. Voleva semplicemente continuare ad eccellere nel lavoro che sapeva e, soprattutto, che voleva fare. Designato il nuovo Team Leader (utilizzando anche le informazioni emerse dalle sessioni di gioco), molto più giovane anagraficamente, il team è riuscito a realizzare il progetto nei termini previsti.
3. Ci sono giochi diversi per obiettivi diversi?
Sì. Ci sono giochi, ci sono giocattoli, ci sono modi di giocare, ci sono meccaniche per ogni obiettivo.
Bisogna individuare bene l’esigenza del cliente per poi “disegnare” il workshop o progettare il percorso che bisogna mettere in campo.
Si può usare ad esempio il gioco Scotland Yard per capire le dinamiche che muovono un team; si può usare il gioco Il Trauma del Tram per parlare di decision Making; si possono usare le carte del gioco Dixit per stimolare creatività e immaginazione e si possono usare i mattoncini lego per prototipare, per modellare, per struturare processi complessi.
Per fare tutto questo bisogna conoscere molto bene gli strumenti che si stanno utilizzando, in questo caso i giochi e le loro meccaniche, e padroneggiare la tematica da sviluppare proprio come un chirurgo che conosce bene il corpo umano e gli strumenti che sta utilizzando.
4. Quando un’azienda o organizzazione chiede un servizio come il tuo?
Quando è consapevole che c’è un problema e la maggior parte delle volte il problema non è quello che pensano loro. Spesso si pensa che il sintomo di un problema sia il problema stesso ma la maggior parte delle volte bisogna andare in profondità.
Purtroppo, ancora oggi, si cerca di intervenire non quando suona il campanello d’allarme ma quando il danno è fatto.
5.Quali sono i campanelli d’allarme?
I campanelli d’allarme possono essere i più svariati: obiettivi non raggiunti, atteggiamenti conflittuali, mancanza di benessere aziendale, problemi economici, scelte sbagliate, rapporti nocivi …
Bisogna avere il coraggio di analizzare, andare a fondo, cambiare, e soprattutto di chiedere aiuto e di imparare giocare con il proprio lavoro.
6. Hai pubblicato il tuo primo libro Aziende in gioco. Puoi dirci qualcosa in merito e perchè dovremmo acquistarlo?

Anzitutto devo menzionare l’ingegner Luca Borsa, game designer, coautore del libro. Svolgiamo il nostro lavoro in sintonia: lui crea i giochi mentre io li faccio usare.
Fatta questa precisazione, il manuale tecnico pratico è scritto con un linguaggio non accademico ma con contenuti accademici, quindi di assoluto valore.
Lo può leggere chiuque e può essere letto come si vuole, anche saltando da un capitolo all’altro. Nell’introduzione é spiegato tutto!
All’interno, i lettori trovaranno le indicazioni di come utilizzare 4 giochi da tavolo, acquistabili nei negozi e online, all’interno di un contesto aziendale, per estrarre contenuti di valore, divertendosi!
Aziende in gioco è acquistabile online sui seguenti siti:
NoiLibreria Feltrinelli Mondadori Amazon DungeonDice
Ringrazio Marco per il suo tempo e vi invito a visitare il suo profilo Linkedin per chiedergli eventualmente il suo intervento giocoso.
E voi avevate sentito parlare di facilitazione game based, thinking design e gamification?
Avete avuto esperienze in questa direzione?
Raccontate!